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sabato 16 gennaio 2010

Ridurre le tasse significa ridurre il debito e le clientele

Pubblico un interessante articolo di Angelo Panebianco pubblicato oggi sul Corriere della Sera, e vi allego due tabelle interessanti che mostrano la percentuale della spesa e delle imposte sul Pil delle nazioni appartenenti all'area Ocse. In Italia la situazione è davvero incredibile. I dati sopramenzionati dimostrano la validità delle mie affermazioni fatte in post precedenti. Con riferimento al 2009, per finanziare una spesa del 51,7% del Pil (media ocse 44,8%, Usa 41,6%!!!) veniamo tassati per una percentuale pari al 46,4%! (media ocse 37,1%, Usa 31,3%!!!). Come già spiegato nel post riguardo la riforma fiscale, l'unica strategia possibile per ridurre il debito in Italia è proprio quella di ridurre le tasse per ridurre le spese. Un aumento delle tasse per ridurre il debito sarebbe una soluzione tragica per la nostra economia che potrebbe davvero provocare una crisi profonda nel sistema Italia. Aumentando le tasse il debito pubblico continuerà a crescere e raggiungerebbe livelli non sostenibili per l'obiettivo di una crescita positiva dell'economia. Passiamo ora all'articolo di A. Panebianco:

"LA RIVOLUZIONE MANCATA DEL PDL
Il paradosso delle tasse
In materia di tasse Silvio Berlusconi ha un grande merito e un altrettanto grande demerito. Il merito è che la questione della riduzione drastica delle tasse entrò nella agenda italiana grazie a lui. Ai tempi della Prima Repubblica il tema era tabù. La Lega di Bossi, è vero, ne aveva parlato prima ma, in quel caso, le tasse erano solo un elemento fra gli altri entro la cornice del rivendicazionismo identitario-territoriale. Il demerito di Berlusconi è di non avere dato seguito alla promessa. Sergio Rizzo ( Corriere, 11 gennaio) ha ricostruito in modo esauriente la storia degli annunci e delle promesse mancate. Per arrivare a oggi, quando nel giro di pochi giorni Berlusconi ha rilanciato il vecchio progetto delle due sole aliquote per poi subito accantonarlo.
L’occasione mancata risale al governo Berlusconi del 2001-2006. Si andò vicino al traguardo con la legge delega, predisposta da Giulio Tremonti, che introduceva le due aliquote. Poi i contrasti nella maggioranza bloccarono il progetto. Berlusconi non fu capace di imporre ai suoi alleati una riforma su cui si giocava l’identità politica sua e di Forza Italia. Perché ora dovremmo credere che la grande riforma fiscale si farà, se non venne fatta allora, in un’epoca di espansione economica internazionale?
Il paradosso delle tasse può essere così riassunto: la storia di un quindicennio mostra che Berlusconi è inaffidabile quando promette la riforma fiscale. Al tempo stesso, c’è la quasi certezza che se la riforma non verrà fatta da lui non verrà fatta da nessun altro. Non dal centrosinistra che sulle tasse ha ereditato gli atteggiamenti della classe politica della Prima Repubblica e che, per cultura, e per gli interessi della sua constituency elettorale, è ostile a riduzioni generalizzate della pressione fiscale. Ma nemmeno dal centrodestra, nel quale, tolta la componente di Forza Italia (e neppure tutta) del Pdl, sono presenti tanti politici che sulle tasse non hanno mai condiviso fino in fondo le idee (o i sogni?) di Berlusconi.
Certo, per ridurre le tasse occorre prima tagliare la spesa pubblica (campa cavallo). Oppure, come sostiene il «partito liberista» (da Antonio Martino a Oscar Giannino, ad Alberto Mingardi), occorre rovesciare le priorità: fare in modo che sia una drastica riduzione delle tasse a imporre la contrazione della spesa pubblica. Ci sono nodi tecnici da sciogliere, e conti da far quadrare, come il ministro Tremonti ricorda. Ma ci sono anche nodi politici. Ridurre le tasse significa destabilizzare clientele e corporazioni che vivono di spesa pubblica, colpire gli interessi cresciuti al riparo di un’alta fiscalità. E favorire cambiamenti di mentalità, fare accettare anche nelle aree del Paese che non ci credono l’idea che un livello troppo alto di tassazione sia un indicatore della scarsa libertà dei cittadini. Con lodi o biasimi, a seconda degli orientamenti, gli ultimi decenni verranno ricordati nei libri di storia come quelli della «era Berlusconi». Ma se Berlusconi non riuscirà a rivoluzionare il fisco, nemmeno il più benevolo degli storici vi aggiungerà mai la parola «liberale».


Angelo Panebianco

16 gennaio 2010©

RIPRODUZIONE RISERVATA"1.

1. Tratto da Panebianco A., Il Corriere della Sera, scaricato il 16 gennaio 2010 da http://www.corriere.it/editoriali/10_gennaio_16/il-paradosso-delle-tasse-editoriale-angelo-panebianco_71c08710-0267-11df-8bfd-00144f02aabe.shtml

Vi lascio infine per onore alla onestà intellettuale, con molta amarezza, con questo video, molto triste, che la dice lunga sull'articolo proposto:


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