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venerdì 3 luglio 2009

Il coraggio di un liberale, la vergogna del regime





"Perchè i nostri popoli sono sull'orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poichè ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l'abolizione della censura e la proibizione di Zpravy. Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s'infiammerà"

Jan Palach dopo essersi dato fuoco in piazza San Venceslao, Praga 1969



5 gennaio 1968, Cecoslovacchia, inizio della Primavera di Praga. Rendendosi conto già ai tempi del fallimento e della miseria che il regime -in questo caso parliamo del regime comunista dell'Unione Sovietica- portava all'economia del paese la maggior parte dei cittadini assieme addirittura anche a molti leader del partito comunista cecoslovacco, si resero conto della necessità di avviare un programma di liberalizzazioni volto alla creazione di partiti alternativi al partito unico comunista, alla libertà di stampa e di parola. Tanto era disperata questa gente che con tale riforma ,se cosi si può chiamarla, non si proponeva di spodestare il regime sovietico, e garantiva comunque la "schiavitù" a Mosca. Soltanto aveva come obiettivo quello di migliorare, di poco, giusto per sopravvivere, le proprie condizioni di vita. Naturalmente con un regime al governo questi discorsi sono tanto non ascoltati, quanto puniti. E la punizione fu dura, molto dura. Il 20 agosto 1968 cominciò la repressione e la violenza del regime comunista: tra i 200 mila ed i 600 mila soldati invasero il paese, punirono severamente gli stessi comunisti cecoslovacchi che si erano "permessi" di sostenere la liberalizzazione e furono sostituiti con una nuova classe dirigente. 300 mila persone in totale abbandonarono il paese. Ma immaginate i giovani, come noi, che vedevano svanire la propria libertà, la possibilità di vivere una vita libera. Non si chiedeva molto a Mosca, si chiedevano delle cose che noi nel nostro paese diamo per scontato. No, il regime comunista si contrappose ancora una volta alla libertà, tanto da andare contro agli stessi comunisti cecoslovacchi e tanto da cominciare a fare nascere nei partiti comunisti europei quel sentimento di sospetto e di indignazione nei confronti di Mosca che per fortuna come già riportato nel post precendente nei primi anni 90 ha visto la sua fine. Nel gennaio 1969 un giovane di 21 anni, Jan Palach, studente universitario in filosofia, non ne poteva più. Probabilmente stanco di essere schiavo, stanco di vivere una vita buia, stanco soprattutto di vedere un futuro grigio di oscura tirannide, decise di fare un gesto clamoroso: togliersi la vita bruciandosi vivo, a 21 anni. Il 16 gennaio 1969 si cosparse il corpo con la benzina e si diede fuoco con un accendino. Rimase lucido per tre giorni e pronunciò quelle frasi che ho riportato sotto la sua foto, ai medici e dopo mori'. Leggo che ai suoi funerali hanno partecipato 600 mila persone. Non fu il solo, altri sette studenti fecero lo stesso gesto. Chiaramente, per i comunisti sovietici, le parole pietà e umanità non esistevano . Tutto ciò avvenne all'oscuro dei servizi d'informazione, controllati dai sovietici. Ancora una volta, il regime dimostrava la sua vergogna. Con il crollo del muro di Berlino e del regime del terrore, fu ricordato dal governo e fu fatto un monumento in suo onore a Praga, in onore del coraggio delle sue idee, idee di libertà e di democrazia.

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