lunedì 30 novembre 2009
Campagna a favore della libertà in Corea del Nord
Kim-Jong-il: un altro genio che ha realizzato il sogno comunista
venerdì 27 novembre 2009
Tremonti e Bersani da Santoro
Non so voi, ma io ieri sera ho molto gradito la trasmissione di Santoro. Sono un assiduo consumatore, predonatemi il termine, di porta a porta, ballarò, anno zero e cosi via. Ieri sera forse, è stata la puntata più bella di Anno Zero. Ospiti in studio Tremonti e Bersani insieme a qualche giornalista. Entrambi con argomentazioni abbastanza valide hanno fatto valere la loro tesi dialogando e confrontandosi seriamente, senza il solito populismo che spesso i personaggi della politica ci presentano. E' stato proprio piacevole ieri guardare Anno Zero, non a caso entrambi gli ospiti, per dirla alla Mourinho, non erano i soliti pirla della politica, ma erano due personaggi competenti, con visioni dell'economia e della politica differenti, ma comunque competenti. I giornalisti vari invece, hanno dimostrato una totale ignoranza assurda, Tremonti è stato formidabile a umiliare letteralmente un tizio che faceva osservazioni davvero da bambino di terza elementare e altrettanto Bersani ha cagato l'altro tizio. Quando i tecnici entrano in campo, per i giornalisti e per i politici c'è poco da fare, possono solo stare zitti e subire le argomentazioni di chi capisce qualcosa di economia. Ci ha provato anche Travaglio a mettere confusione, ma è stato cagato anche lui. Bravo dunque Santoro anche ad aiutare i lavoratori di Eutelia che sono stati truffati in maniera vergognosa dai loro amministratori delegati. Che dire, sarà un fulmine a ciel sereno oppure magari se ci impegnassimo tutti, riusciremmo a parlare di cose concrete e a risolvere i problemi del nostro grande Paese? La vogliamo capire o no che se i politici cominciassero a fare i politici con la P maiuscola, potremmo essere davvero i protagonisti della scena internazionale? Allora, buona fortuna a Bersani, un augurio che possa modernizzare il Pd, potrebbe essere la persona giusta a guidare il centro sinistra, lasciamolo lavorare in santa pace: all'Italia farebbe solo un piacere. Passiamo brevemente a Tremonti. Ci sono state delle polemiche fra Brunetta e Tremonti, il primo accusava "Giulio" di essere eccessivamente conservatore nelle politiche della spesa. Io vi dico quello che penso. Ho molta stima di Tremonti, a prescindere dalla condivisione delle sue politiche. E' una persona molto seria e anche ieri ha dimostrato di sapere la sua. Mi dispiace per Brunetta, ma sulle spese ha ragione Tremonti: spendiamo troppo. La politica di contenimento delle spese mi trova totalmente d'accordo. Tremonti infine ieri ha detto che il governo appena possibile taglierà le tasse e non vuole farlo ora perchè secondo lui sarebbe pericoloso per la situazione attuale. Che dire, a parole sono d'accordo, certo, aspetterei i fatti. Tuttavia, per concludere, siccome non vorrei fare la fine dei giornalisti idioti che parlano senza collegare il cervello e soprattutto parlano senza sapere, vorrei lanciare una sfida al Ministro dell'Economia e spero che potrà accogliere, chissà che una sera che magari non ha nulla da fare e sta navigando su Internet non becca il mio blog!:) A "Giulio" dico: bravissimo sulle spese, ma perchè non ridurre le tasse per ridurre le spese? Ministro, scommettiamo una cena che se riduci drasticamente le tasse, la spesa pubblica come d'incanto scenderà? Ai posteri l'ardua sentenza. Viva la politica con la P maiuscola, viva i tecnici e giornalisti fuori dalle balle! Che Dio ci benedica tutti!
mercoledì 18 novembre 2009
Obama merita sostegno nella riforma sanitaria
Ho molti dubbi sul tema della riforma sanitaria promossa da Obama negli Stati Uniti. Non starò qui ad evidenziare i punti tecnici della riforma perchè non li conosco perfettamente. Nel mio blog ho spesso espresso diffidenza nei confronti di Obama e del suo governo. Credo che sia eccessivamente sopravvalutato e che debba essere giudicato al termine del suo mandato. E' inopportuno per esempio consegnare il premio nobel per la pace ad Obama: lasciamolo lavorare prima di elogiarlo. Tuttavia credo che sulla sanità abbia ragione. Lasciamo perdere i dettagli; pensiamo al fatto che non è pensabile che la nazione più potente al mondo non è capace a garantire le cure gratuite a coloro che non possono permettersi di pagare un'assicurazione: 36 milioni di persone non possono curarsi negli Stati Uniti perchè non assicurate! Garantire la sanità a tutti non è socialismo o comunismo, è semplicemente buon senso. Per non parlare degli orrori e degli scandali delle assicurazioni americane che anche a coloro che sono assicurati cercano di fare di tutto per non pagare le spese mediche e per annullare l'assicurazione una volta che il soggetto in questione si ammala. Io non sono in grado di dire se ciò che ha intenzione di fare Obama aumenterà o meno il deficit: ma chi è per davvero un sostenitore della libera concorrenza, del profitto e del libero mercato non può accettare che un qualsiasi soggetto cerchi di massimizzare i profitti senza rispettare le regole sociali e la collettività. Questo non è socialismo, è semplicemente ricerca del profitto nel rispetto delle regole. E troppo spesso in America, nella sanità ciò non avviene. Aumenterà il deficit? Pazienza, una nazione civile ha il dovere di curare i propri cittadini; più una nazione è ricca, più ha il dovere di aiutare i propri cittadini. La virtù sta nel mezzo e nella vita bisogna essere conservatori nelle cose che vanno bene, e rivoluzionari nelle cose che vanno male. Obama merita rispetto per il suo impegno nella sanità, e tutti devono sostenerlo perchè è facile criticare ed è difficile agire. Buona fortuna allora Presidente per la tua rivoluzione.
domenica 8 novembre 2009
La caduta del muro di Berlino
Non sono mai stato troppo bravo a festeggiare quando ho raggiunto traguardi che consideravo
importanti. Non lo so il perchè, questione di mentalità. Una volta che hai raggiunto un traguardo, c'è sempre qualche nuovo obiettivo da raggiungere. Anche in questo caso conserverò la mia abitudine. Mi chiedo come ricordare i 20 anni dalla caduta del muro di Berlino. E soprattutto, a chi dedicare questa vittoria, che ha rappresentato il trionfo del bene sul male, il trionfo della democrazia sulla dittatura. La caduta del comunismo per me ha rappresentato il dono più bello che il Signore poteva farci. Noi che viviamo in una società libera non riusciamo, non possiamo capire fino in fondo cosa significa vivere in un regime anti-democratico. E ciò vale sia per l'Unione sovietica, per Cuba, per la Cina e sia per la Germania nazista e l'Italia fascista: le dittature non hanno colori. Non possiamo capire il terrore di coloro che hanno vissuto (e che ancora oggi vivono!) nei Paesi dove regnano le dittature. E soprattutto, non dobbiamo scordarci di chi ha lottato e di chi è caduto per la nostra libertà. Perchè la libertà è un pò come quando stiamo bene: comprendiamo l'importanza della salute solo quando ci ammaliamo. La caduta dell'impero del male ha rappresentato la vittoria della libertà e della democrazia. La mia gratitudine va all'artefice della vittoria contro il comunismo: Ronald Reagan. Grazie alle sue geniali politiche è riuscito a vincere la guerra fredda senza sparare un colpo: un eroe. Ma la sua vittoria, la nostra vittoria, voglio dedicarla a tutti coloro che con violenza ed umiliazione sono stati assassinati dai regimi comunisti. Potrei a questo punto farvi l'elenco e presentarvi le immagini, ma non lo farò perchè non è necessario e perché ho molto rispetto per coloro che sono morti. Per tornare al mio carattere particolare nel festeggiare i successi, d'altra parte anche Reagan, una volta caduto il muro, ha lasciato che i buffoni si prendessero il merito e come ho ricordato nel precedente post, a chi gli domandava del perchè non appariva in tv a festeggiare e a prendersi gli applausi della gente, rispondeva alzando le spalle e sorridendo, e mentre Bush e Gorbaciov passeggiavano per le strade a sventolare le bandiere della libertà, Reagan stava a casa, a farsi un bel bicchiere di vino bianco e a guardare compiaciuto la televisione e con l'umiltà e la riservatezza, qualità tipiche dei grandi uomini, di coloro che preferiscono agire piuttosto che fare populismo. Il comunismo (si spera!) è morto ormai, ma dobbiamo rimanere vigili perchè la storia si ripete e perchè il male è sempre in agguato pronto a sfruttare le debolezze della nostra società per rinascere. Il migliore antidoto contro i criminali comunisti e contro le derive estreme è semplicemente quello di continuare a garantire, mediante il buon governo, alla gente che l'unico sistema che noi conosciamo per distribuire per la maggior parte ricchezza e potere è la democrazia liberale. Ma per fortuna (dopo un pò di tempo!) quasi tutti lo abbiamo capito e la nostra battaglia è stata vinta. Buona festa della libertà, che Dio ci benedica!
Pubblico un'intervista che il professor Gaddis, storico e professore a Yale, ha rilasciato alla Stampa in data 07 novembre 2009:
Le rivoluzioni talvolta colgono di sorpresa
Era successo in Francia nel 1789, è accaduto di nuovo 200 anni dopo nell’Est Europeo: nessuno si aspettava che il Muro venisse giu’ cosi’ in fretta”. John Lewis Gaddis ha dedicato un’esistenza a studiare il Muro di Berlino e le ragioni che lo avevano fatto erigere. Ma 20 anni fa anche il professore di Yale - incoronato dal New York Times come “il decano degli storici della Guerra Fredda” - rimase spiazzato dagli eventi. E oggi agli studenti che affollano i suoi corsi nel prestigioso campus americano spiega una teoria presa in prestito dalla fisica: la storia a volte si comporta “come un mucchio di sabbia che continua a crescere, e nessuno sa qual e’ il granello che a un certo punto fara’ crollare tutto”. Gaddis, uno dei massimi storici della Guerra Fredda al mondo, due decenni dopo la caduta della cortina di ferro propone una chiave di lettura degli eventi che mette in primo piano il ruolo dei protagonisti degli anni Ottanta. Dopo oltre 30 anni di un copione sempre uguale, spiega a La Stampa.it , sulla scena di quella drammatica rappresentazione teatrale che fu la Guerra Fredda salirono “un cast di attori insoliti, che avevano in comune il fatto di rifiutare che quello stato di cose fosse destinato a restare in eterno: Reagan, Thatcher, Giovanni Paolo II, Havel, Walesa, anche Deng Xiaoping e Gorbaciov. Sono loro che hanno posto le basi per quello che e’ accaduto nel 1989”. Una storia che secondo Gaddis offre insegnamenti per l’oggi (per esempio per Barack Obama, “che fa troppi discorsi, dovrebbe imparare da Reagan: pochi ma decisivi”), ed e’ in buona parte ancora da finire di scrivere: “Gli archivi americani e occidentali non saranno pienamente consultabili che tra 10-15 anni, quelli del Vaticano forse tra 500. Sappiamo assai di piu’ sui paesi dell’Est, che hanno aperto tutti gli archivi, che su quello che e’ avvenuto dietro le quinte nelle capitali europee occidentali o a Washington”.
Professore, gli eventi dell'autunno 1989 spiazzarono anche lei?
Completamente. Tre anni prima avevo scritto un saggio su The Atlantic intitolato 'Come potrebbe finire la Guerra Fredda'. La mia ipotesi era che Usa e Unione Sovietica avrebbero dato vita con il tempo a una relazione sempre piu' stabile e una mattina si sarebbero svegliati dicendo: 'Questa non e' piu' la Guerra Fredda, e' il nuovo sistema internazionale'. Immaginavo che ci saremmo abituati all'idea di un'Europa divisa e al Muro di Berlino come cose 'normali'. Mi sbagliavo.
Perche' paragona il 1989 alla rivoluzione francese del 1789?
Perche' anche allora nessuno percepi' con chiarezza quello che stava per accadere. La Francia era la nazione piu' ricca d'Europa, il sistema appariva stabile, e l'idea che l'aristocrazia potesse collassare per effetto di una rivoluzione era impensabile. L'Unione Sovietica aveva costruito per decenni un sistema altrettanto stabile, e pensare che in meno di un anno potesse cadere... E invece... Invece anche nella storia, come nella fisica, esiste il concetto di massa critica: puoi continuare a costruire, ma non sai qual e' il momento in cui un minimo peso in piu' fara' crollare tutto. L'Unione Sovietica lo scopri' nel 1989.
Lei spiega la fine della Guerra Fredda ponendo l'accento sul ruolo degli "attori insoliti" in scena in quegli anni. Cosa intende?
Negli anni '70 aveva acquistato spessore la tesi secondo la quale la Guerra Fredda era una condizione permanente. Era l'idea dietro la distensione di Nixon e Kissinger, era la base dell'Ostpolitik di Willy Brandt. Ma la distensione lasciava molti insoddisfatti: poteva rendere il mondo piu' sicuro rispetto alla minaccia nucleare, ma non faceva niente per porre soluzione ai grandi interrogativi in termini di diritti umani. E qui venne la svolta. Negli anni '80 arrivarono sul palcoscenico della Storia attori che, soprattutto sui diritti umani, rifiutavano di accettare che la Guerra Fredda fosse definitiva.
Nel cast, chi ebbe il ruolo di protagonista?
Senza dubbio Reagan, che disse con chiarezza che quello sovietico era "l'impero del male" con il quale non si potevano fare compromessi. Ma anche la Thatcher e il papa polacco. Ognuno di loro era diverso e ovviamente ebbe un ruolo diverso. Li univa pero’ una dote comune ai grandi leader: la capacita' di capire che lo status quo e' vulnerabile, di percepire che le persone potevano fare la differenza e infine di agire perche' questo avvenga.
La retorica di Reagan, i suoi attacchi al comunismo, la sua esortazione diretta a Gorbaciov ad "abbattere il Muro" non furono rischi eccessivi per un presidente americano?
No, i suoi discorsi furono anzi di un'importanza cruciale per far cambiare le cose. Prima di tutto, disse una verita' che nessun presidente americano aveva ancora detto: l'Unione Sovietica era davvero l'impero del male. E poi Reagan aveva la dote di saper scegliere molto bene momenti e luoghi in cui fare i propri discorsi, per ottenere l'effetto desiderato. George W. Bush ne ha fatti troppi, e anche Barack Obama a mio avviso sta esagerando. Reagan agi' spesso sfidando l'opinione pubblica europea. Anche il giorno del suo celebre discorso a Berlino davanti al Muro, nelle strade vicine c'erano folle di manifestanti contro di lui. Obama invece gode di ampio credito in Europa e ha appena reso felici i russi cancellando il sistema di difesa missilistica di Bush.
Vede paralleli tra i due o lezioni che l'attuale Casa Bianca puo' trarre dai successi reaganiani?
E' presto per giudicare Obama, senza dubbio non deve sprecare l'enorme aspettativa che ha trovato. In politica estera si sta muovendo verso un nuovo realismo, riportando alla cautela di fronte all'idea che la democrazia possa sbocciare automaticamente dovunque. Occorre riconoscere che ci sono regimi autoritari che resisteranno e che ci sono ragioni per trovare un terreno comune anche con quei regimi. Sta cercando di correggere errori delle amministrazioni Clinton e Bush. E' per questo che in America abbiamo elezioni ogni quattro anni, per rimediare agli errori precedenti!
Quanto fu importante, per la fine della Guerra Fredda, il fatto che in Vaticano ci fosse un papa polacco?
Fu di un'importanza enorme. Giovanni Paolo II fu sorpreso come tutti quanti dall'essere stato scelto come pontefice, ma una volta eletto ebbe le idee molto chiare su cio' che c'era da fare. Come dico ai miei studenti: 'Forse questo e' un esempio della mano di Dio nella Storia'. C'e' ancora tanto che non sappiamo su cosa avvenne dietro le quinte in quegli anni in Vaticano. Ma al di la' di tutto, fu incredibilmente importante che ci fosse un papa che veniva dalla Polonia, sapeva parlare in modo franco e diretto, e poteva smuovere la potenza geopolitica della fede. Un sacco di gente sottovalutava questo aspetto, perche' viviamo in un mondo secolarizzato. Ma e' qualcosa di una potenza straordinaria, al quale l'Unione Sovietica non aveva niente da opporre.
L'Italia, secondo i suoi studi, ebbe un ruolo importante nella fine della Guerra Fredda?
Direi che ne ebbe uno decisivo nella nascita della Guerra Fredda: le elezioni del 1948 furono un momento di svolta, di una grande importanza non solo per la politica italiana ed europea, ma anche negli Stati Uniti, visto che segnarono tra l'altro la prima grande operazione sotto copertura della Cia, con il sostegno alla Democrazia Cristiana. Ma nel 1989 i protagonisti erano altrove e in Europa il protagonista fu soprattutto la Germania. Il suo cancelliere Helmut Kohl vide in anticipo cio' che altri non vedevano. Anche dopo la caduta del Muro, la gente continuava a ripetere che ci sarebbero voluti altri 10 anni per riunire la Germania. Mitterand e la Thatcher frenavano. Kohl invece fu tra i pochissimi - insieme a lui forse anche l'allora presidente George H.W.Bush - che intui’ che era possibile. E mise il piede sull'acceleratore perche' avvenisse in meno di un anno.
venerdì 6 novembre 2009
Dear mr. Moore: I will tell you who mr. Reagan is.
The long education began. He studied communism, read Marx, read the Founders and the conservative philosophers from Burke to Burnham. He began to tug right. The Democratic Party and his industry continued to turn left. There was a parting. A word on his intellectual reflexes. Ronald Reagan was not a cynic--he did not assume the worst about people. But he was a skeptic; he knew who we are. He did not think that people with great degrees or great success were necessarily smart, for instance. He had no interest in credentialism. He once told me an economist was a fellow with a Phi Beta Kappa key on one end of his chain and no watch on the other. That's why they never know what time it is. He didn't say this with asperity, but with mirth. He did not dislike intellectuals--his heroes often were intellectuals, from the Founders straight through Milton Friedman and Hayek and Solzhenitsyn. But he did not favor the intellectuals of his own day, because he thought they were in general thick-headed. He thought that many of the 20th century's intellectuals were high-IQ dimwits. He had an instinctive agreement with Orwell's putdown that a particular idea was so stupid that only an intellectual would believe it. He thought that intellectuals, like the great liberal academics of the latter half of the 20th century, tended to tie themselves in great webs of complexity, webs they'd often spun themselves--great complicated things that they'd get stuck in, and finally get out of, only to go on and construct a new web for mankind to get caught in. The busy little spiders from Marx through Bloomsbury--some of whom, such as the Webbs, were truly the stupidest brilliant people who ever lived--through Harvard and Yale and the American left circa 1900-90. As president of the Screen Actors Guild he led the resistance to a growing communist presence in the unions and, with allies such as William Holden, out-argued the boutique leftism of the Hollywood salons. But when a small army of congressional gasbags came to town, Ronald Reagan told the House Un-American Activities Committee that Hollywood could police itself, thank you. By the time it was over, even his harshest foes admitted he'd been fair. In the '90s, an actress who'd been blacklisted, her career ruined, was invited by historians of Hollywood to criticize him. She said yes, she remembered him well. He was boring at parties. He was always talking about how great the New Deal was. He wanted to be a great actor, but it never happened. He was a good actor. He married Nancy Davis, a young actress who'd gone to Smith. On their first date, she told me once, she was impressed. "He didn't talk, the way actors do, about their next part. He talked about the Civil War." They had children, made a life; she was his rock. In 1962 he became a Republican; in 1966, with considerable initial reluctance, he ran for governor of California. The establishment of the day labeled him a right-wing movie star out of touch with California values; he beat the incumbent, Pat Brown, in a landslide. He completed two successful terms in which he started with a huge budget deficit, left behind a modest surplus, cut taxes and got an ulcer. About the latter he was amazed. Even Jack Warner hadn't been able to give him an ulcer! But one day it went away. Prayer groups that did not know of his condition had been praying for him. He came to think their prayers healed him. In his first serious bid for the presidency, in 1976, he challenged his own party's beleaguered incumbent, the hapless Gerald Ford. Ronald Reagan fought valiantly, state by state, almost unseated Mr. Ford, and returned from the convention having given one of the best speeches of his life. He told his weeping volunteers not to become cynical but to take the experience as inspiration. He promised he wouldn't go home and sit in a rocking chair. He quoted an old warrior: "I will lie me down and bleed awhile / And then I will rise and fight again." Four years later, he won the presidency from Jimmy Carter after a mean-spirited onslaught in which he was painted as racist, a man who knew nothing, a militarist. He won another landslide. Once again he had nobody with him but the people. In his presidency he did this: He out-argued communism and refused to accept its claim of moral superiority; he rallied the West, rallied America and continued to make big gambles, including a defense-spending increase in a recession. He promised he'd place Pershings in Europe if the Soviets would not agree to arms reductions, and told Soviet leaders that they'd never be able to beat us in defense, that we'd spend them into the ground. They were suddenly reasonable. Ronald Reagan told the truth to a world made weary by lies. He believed truth was the only platform on which a better future could be built. He shocked the world when he called the Soviet Union "evil," because it was, and an "empire," because it was that, too. He never stopped bringing his message to the people of the world, to Europe and China and in the end the Soviet Union. And when it was over, the Berlin Wall had been turned into a million concrete souvenirs, and Soviet communism had fallen. But of course it didn't fall. It was pushed. By Mr. Know Nothing Cowboy Gunslinger Dimwit. All presidents should be so stupid. He pushed down income taxes too, from a high of 70% when he entered the White House to a new low of 28% when he left, igniting the long boom that, for all its ups and downs, is with us still. He believed, as JFK did, that a rising tide lifts all boats. He did much more, returning respect to our armed forces, changing 50-year-old assumptions about the place of government and the place of the citizen in the new America.
What an era his was. What a life he lived. He changed history for the better and was modest about it. He didn't bray about his accomplishments but saw them as the work of the American people. He did not see himself as entitled, never demanded respect, preferred talking to hotel doormen rather than State Department functionaries because he thought the doormen brighter and more interesting. When I pressed him once, a few years out of the presidency, to say what he thought the meaning of his presidency was, he answered, reluctantly, that it might be fairly said that he "advanced the boundaries of freedom in a world more at peace with itself." And so he did. And what could be bigger than that? To be young and working in his White House at that time in human history, was--well, we felt privileged to be there, with him. He made us feel not that we were born in a time of trouble but that we'd been born, luckily, at a time when we could end some trouble. We believed him. I'd think: This is a wonderful time to be alive. And when he died I thought: If I'd walked into the Oval Office 20 years ago to tell him that, he'd look up from whatever he was writing, smile, look away for a second and think, It's pretty much always a wonderful time. And then he'd go back to his work. And now he has left us. We will talk the next 10 days about who he was and what he did. It's not hard to imagine him now in a place where his powers have been returned to him and he's himself again--sweet-hearted, tough, funny, optimistic and very brave. You imagine him snapping one of those little salutes as he turns to say goodbye. Today I imagine saluting right back. Do you? We should do it the day he's buried, or when he lies in state in the Capitol Rotunda. We should say, "Good on you, Dutch." Thanks from a grateful country.
Da Reagan a Obama: Caro Moore, ti spiego chi distruggerà davvero gli Stati Uniti
domenica 1 novembre 2009
Chi ha paura della riduzione della spesa pubblica?
Ricordo che al termine di una lezione di algebra discutevo con alcuni amici sulla sanità italiana e sui vari scandali che continuamente escono fuori. Proposi come modello da imitare quello americano e immediatamente tutti mi hanno fatto presente come sia poco tollerabile che la prima potenza al mondo non fosse in grado di garantire a tutti i suoi cittadini le cure adatte in caso di bisogno. Argomentazione ineccepibile direi. In effetti avevano ragione. Ma allora il nostro sistema è buono?Voglio dire, il fatto che loro avessero ragione non significa che il nostro sistema è perfetto. Anzi, è tutto tranne che perfetto. Si dice che è pubblico, in realtà sono sicuro che noi paghiamo il nostro sistema sanitario molto più di quanto lo pagheremmo se fosse gestito dal privato. Ma non è della sanità che vorrei parlare. E' della spesa pubblica. Chi ha davvero paura se lo Stato riduce il peso del suo intervento nell'economia? Per rispondere a questa domanda non ci vuole una laurea in economia...la casta semplice, la politica. Chi sono coloro che beneficiano maggiormente dell'intervento dello Stato nell'economia? I cittadini..assolutamente no...se lo Stato spende X quantità di denaro significa che deve trovare X quantità di denaro da qualche altra parte..ovvero alzando le tasse ottenendo X quantità di denaro oppure indebitandosi verso i cittadini privati ottenendo X quantità di denaro. In entrambi i casi noterete come i cittadini avranno X quantità in meno da spendere! Assodato che non siamo noi quelli che beneficiano della spesa pubblica possiamo ben capire come politici, sindacati, associazioni e caste varie sono felici che lo Stato spenda molto perchè in questa maniera alimentano il loro potere e le loro clientele. Ecco perchè nessuno in Italia parla di ridurre la spesa pubblica, ecco perchè nessuno vuole ridurre le tasse per ridurre la spesa. Ecco perchè, per una volta, destra e sinistra sono unite. Ridurre il peso dello Stato farebbe felici solo una categoria di soggetti: i cittadini. Ma sfortunatamente, ridurre la spesa pubblica comporta ridurre le clientele ed i vantaggi dei politici e dei loro portaborse. D'altra parte, se voi siete membri del CdA di una impresa, approvereste un piano per ridurre le spese per i vostri stipendi? La risposta è chiaramente intuitiva. I nostri politici ridurranno la spesa pubblica?No, certo che no. La rivoluzione liberista per ora è solo una utopia. Svelato il mistero: chi ha paura della riduzione della spesa pubblica? I politici e chi dipende da loro. Ecco un gran bel conflitto di interesse che dubito troverà soluzione. Per il momento.